Detta in breve la traccia de Il carnefice è questa: un uomo va alla deriva perseguitato da due ragazzi-ladri, unica alternativa alla morte sarebbe la fuga; ma qualcosa lo tiene fermo nella città: una paralisi della volontà, la sua erotomania di figlio sconfitto di Sodoma; la corte di miracoli che gli ruota intorno: Santa, Arturo, il Principe, tanti ragazzi; o forse lo trattiene l'attesa di Dies Irae, misteriosa taumaturga delle sue piaghe. I due minacciano, incalzano. Cambia casa continuamente, con in cuore questo suo sfacelo; fino alla liberazione che è un congedo forse provvisorio dal mondo che lo ha visto miserabile protagonista: Navona, il Colosseo.►
Qual è il nodo gordiano che ho cercato di spezzare scrivendo Il carnefice con Lettere da Sodoma alle spalle? Lettere da Sodoma: un progetto tutto letterario che al mito della «prigioniera» — nel mio caso, del «prigioniero» — per amore, aggiungeva quello «esistenziale» del suicidio. La forma epistolare era un pretesto: ma anche dissacrazione (Foscolo, Goethe: i paludamenti sentimentali, un romanticismo trattenuto da eroici furori), nonché parodia di una forma — il romanzo per lettere — che quasi mai era stato sconvolto dall'irruzione di tanta «vita». Non so quanti abbiano afferrato l'urgenza letteraria di quel libro ormai alle mie spalle: certo, per me, Lucianino — il ragazzo «assente» oscillante fra Gènet e Pasolini, protagonista erotico-sentimentale del romanzo — era il catalizzatore «tragico» delle mie predilezioni letterarie. Dovevo però sliricarmi il più possibile, pur imperversando e perseverando nel culto dell'autobiografia. È stato Bernard Beren-son a scrivere che non c'è alcun- male a cominciare con un « io » nudo e crudo. Usato innocentemente come l'ho usato io, altro non è che una finzione grammaticale... Il linguaggio medio poteva essere l'unica alternativa eil riscatto di questo autobiografismo del quale sono stato rimproverato: l'adozione di un «falsetto» che, oggettivando, rendeva benissimo anche lo spirito del tempo in cui si svolgeva il libro. Con Il carnefice posso considerarmi a buon punto sulla strada della rarefazione di certe ossessioni che mi hanno posseduto o mi possiedono. C'è dentro ogni cuore una volontà di essere messo a nudo, che in Italia la reticenza piccolo-borghese ha sempre trasformato in favola o apologo; io invece i miei maestri me li sono scelti fra i francesi; e inquietanti, perversi, disponibili, scandalosi anche : Gide, Proust, Jouhandeau, Bataille, Sachs, Cocteau, Sartre (L'infanzia di un capo). Espio con questo libro l'amore divorante per quegli autori e per un certo decadentismo mortuario che è alla base dell'esistenzialismo. Con, in più, un ripiegamento verso una forma poematica di prosa d'arte. DARIO BELLEZZA
Qual è il nodo gordiano che ho cercato di spezzare scrivendo Il carnefice con Lettere da Sodoma alle spalle? Lettere da Sodoma: un progetto tutto letterario che al mito della «prigioniera» — nel mio caso, del «prigioniero» — per amore, aggiungeva quello «esistenziale» del suicidio.
La forma epistolare era un pretesto: ma anche dissacrazione (Foscolo, Goethe: i paludamenti sentimentali, un romanticismo trattenuto da eroici furori), nonché parodia di una forma — il romanzo per lettere — che quasi mai era stato sconvolto dall'irruzione di tanta «vita».
Non so quanti abbiano afferrato l'urgenza letteraria di quel libro ormai alle mie spalle: certo, per me, Lucianino — il ragazzo «assente» oscillante fra Gènet e Pasolini, protagonista erotico-sentimentale del romanzo — era il catalizzatore «tragico» delle mie predilezioni letterarie. Dovevo però sliricarmi il più possibile, pur imperversando e perseverando nel culto dell'autobiografia. È stato Bernard Beren-son a scrivere che non c'è alcun- male a cominciare con un « io » nudo e crudo. Usato innocentemente come l'ho usato io, altro non è che una finzione grammaticale... Il linguaggio medio poteva essere l'unica alternativa eil riscatto di questo autobiografismo del quale sono stato rimproverato: l'adozione di un «falsetto» che, oggettivando, rendeva benissimo anche lo spirito del tempo in cui si svolgeva il libro.
Con Il carnefice posso considerarmi a buon punto sulla strada della rarefazione di certe ossessioni che mi hanno posseduto o mi possiedono. C'è dentro ogni cuore una volontà di essere messo a nudo, che in Italia la reticenza piccolo-borghese ha sempre trasformato in favola o apologo; io invece i miei maestri me li sono scelti fra i francesi; e inquietanti, perversi, disponibili, scandalosi anche : Gide, Proust, Jouhandeau, Bataille, Sachs, Cocteau, Sartre (L'infanzia di un capo).
Espio con questo libro l'amore divorante per quegli autori e per un certo decadentismo mortuario che è alla base dell'esistenzialismo. Con, in più, un ripiegamento verso una forma poematica di prosa d'arte. DARIO BELLEZZA