10 marzo 1944: un triplice assassinio suggella con il suo enigma cruento il dramma politico di Trieste, chiusa nella morsa dell'occupazione tedesca e, al tempo stesso, spezzata in innumerevoli, sussultanti tronconi dalla diffidenza e dall'odio che oppongono la maggioranza italiana alla minoranza slovena nonché, fra gli sloveni, i "rossi" del Fronte titoista ai "bianchi" della Belagarda, e gli uni e gli altri agli "azzurri" fedeli al governo monarchico in esilio. Dopo quasi mezzo secolo, uno scrittore - uno scrittore che è, insieme, l'autore di questo libro e il primo del suoi personaggi - si interroga su quella lontana e ancora misteriosa vicenda. Lo fa a partire da un documento singolare e patetico: un folto gruppo di lettere d'amore scritte da una delle vittime, Stanko Vuk, alla moglie Dani, anch'essa uccisa nella strage. La storia del fatto di sangue, incapsulata nella più vasta storia dell'agonia civile di Trieste, contiene a sua volta una storia minore, privata, struggente: la storia d'amore dei due sposi assassinati. Venuto in possesso delle lettere, lo scrittore si china dunque sui dettagli, sulle minime tracce (anche, anzi in primo luogo linguistiche) della vicenda più interna. Che amore era stato quell'amore? Quali legami, quali estraneità, quali abissi di incomprensione e di desiderio si nascondono nelle parole fin troppo sublimi che Stanko, dal carcere cui è stato condannato per cospirazione antifascista, rivolge a una moglie più vagheggiata che conosciuta? E di tanto amore scritto, teorizzato, sognato, che cosa era rimasto quando i due, poco prima della tragedia, s'erano infine ricongiunti? Intrecciando con infinita sapienza, intransigenza e cautela i fili della microstoria e quelli della macrostoria, tessendo l'ordito del pubblico con la trama del privato, componendo i diritti della compassione con le esigenze della verità, Tomizza ha costruito un libro mirabile, uno del pochi libri nei quali, ancora fra molti anni, i lettori potranno trovare e capire nella sua sfuggente, terribile interezza il senso di un passato che nutre e intossica il nostro presente. (Giovanni Raboni)
Dopo quasi mezzo secolo, uno scrittore - uno scrittore che è, insieme, l'autore di questo libro e il primo del suoi personaggi - si interroga su quella lontana e ancora misteriosa vicenda. Lo fa a partire da un documento singolare e patetico: un folto gruppo di lettere d'amore scritte da una delle vittime, Stanko Vuk, alla moglie Dani, anch'essa uccisa nella strage. La storia del fatto di sangue, incapsulata nella più vasta storia dell'agonia civile di Trieste, contiene a sua volta una storia minore, privata, struggente: la storia d'amore dei due sposi assassinati.
Venuto in possesso delle lettere, lo scrittore si china dunque sui dettagli, sulle minime tracce (anche, anzi in primo luogo linguistiche) della vicenda più interna. Che amore era stato quell'amore? Quali legami, quali estraneità, quali abissi di incomprensione e di desiderio si nascondono nelle parole fin troppo sublimi che Stanko, dal carcere cui è stato condannato per cospirazione antifascista, rivolge a una moglie più vagheggiata che conosciuta? E di tanto amore scritto, teorizzato, sognato, che cosa era rimasto quando i due, poco prima della tragedia, s'erano infine ricongiunti?
Intrecciando con infinita sapienza, intransigenza e cautela i fili della microstoria e quelli della macrostoria, tessendo l'ordito del pubblico con la trama del privato, componendo i diritti della compassione con le esigenze della verità, Tomizza ha costruito un libro mirabile, uno del pochi libri nei quali, ancora fra molti anni, i lettori potranno trovare e capire nella sua sfuggente, terribile interezza il senso di un passato che nutre e intossica il nostro presente. (Giovanni Raboni)