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Bianca o l'oblio

[Blanche ou l'oubli], traduzione di Giovanni Raboni


Milano, Mondadori, 1969, Scrittori italiani e stranieri
cm 20.5x13.5, pp. 454-(10), cartonato, sovracoperta illustrata
Unica edizione italiana. Ottimo esemplare

€ 26
     Geoffroy Gaiffier è nato il 3 ottobre 1897 come l'autore di questo libro. A parte questo, è il figlio di un attore celebre la cui moglie è fuggita con un ufficiale di marina, fuma la pipa, è un linguista, ha vissuto due o tre anni a Giava... Non si finirebbe più di elencare le differenze tra lui e me (ah, obliavo, Gaiffier non è comunista).

Se, in fin dei conti, nella Mise à Mort Fougère era Elsa, qui Bianca è tutt'altra donna; e d'altro canto Elsa qui è presente col suo nome, e coi suoi libri, soprattutto Luna Park. Già, perché in questo romanzo, argomento del romanzo sono i romanzi. La tesi di Gaiffier è che il romanzo è uno strumento per la conoscenza dell'uomo, una vera scienza dell'uomo. È attraverso il romanzo che cercherà di capire cos'è accaduto trent'anni fa a sua moglie Bianca, le ragioni per le quali lo ha lasciato dopo vent'anni di vita in comune. In effetti nessuno fino a oggi aveva spinto a tal punto l'apologia del romanzo come il nostro Gaiffier. E senza dubbio in ciò non si trova d'accordo con quei suoi colleghi più giovani di cui ammira le opere. Il problema, per lui, non è far rientrare il romanzo nel quadro della linguistica o in quello del marxismo; ma piuttosto considerare i romanzi come dei fatti, costringendo linguistica e marxismo a tenerne conto. Insomma, arrangiatevi un po' voi! Il romanzo non è autobiografia: l'autobiografia è retaggio della memoria. L'immaginario appartiene invece al regno meraviglioso dell'oblio, e il romanzo - Werther o David Copperfield — lo rende inobliabile.
     Il romanzo non è ciò che è stato, ma ciò che potrebbe essere, ciò che sarebbe potuto essere. La lettura di un romanzo getta luce sulla vita. Ed è per questo che Geoffroy o Maria-Nerina (Maria-Nerina la incontrerete fin dalle prime righe, è inutile che ve ne parli) cercheranno — alla luce di Flaubert, di Elsa Triolet, di Hölderlin, di Shakespeare — di comprendere, di leggere la loro vita. E se Maria-Nerina nel 1965, quando ha inizio questa storia, ha ventiquattro anni, nondimeno per capire quel che le capita deve volgersi talvolta indietro, a quando non c'erano che le carrozze. E nel 1966 Maria-Nerina, per un motivo che potrete indovinare, cercherà di immaginare l'avvenire. Ha ragione di farlo? Oppure è inutile... Voi direte: Bianca o l'oblio... cosa c'entra l'oblio in tutto questo? Credevo di essermi spiegato, ma insomma: il romanzo è un linguaggio nel quale le parole dicono qualche cosa di più, di meno, di diverso dal linguaggio fisso dei vocabolari. Come leggerete nel frontespizio del libro, il mutamento del significato delle parole presuppone sempre un oblio: l'oblio del loro primo significato. Ma il romanzo è il momento intermedio in cui la parola, svuotata del suo primo significato, è aperta al significato nuovo, di cui peraltro non ha preso ancora possesso. Questo momento è il regno della disponibilità. Tutto ancora può essere fatto in questo modo, oppure in quest'altro. Finché una specie di bernard-l'hermite non s'impadronisce della conchiglia vuota: il significato nuovo che fa obliare persino l'oblio. Nel 1966 questo bernard-l'hermite è un signore che non incontreremo; al massimo lo sentiremo suonare il clacson con impazienza, fuori. E del resto che cos'è un titolo? Una parola che presto significherà un'altra cosa... Avevo pensato di dare a questo libro tutt'altro titolo: La violetta di Parma. Poi, l'ho obliato. Aragon

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