Firenze, Vallecchi, 1961, Letteratura contemporanea, serie narrativa cm 18.7x12.4, pp. 275-(1), brossura e sovracoperta illustrata, scheda bibliografica Seconda edizione interamente riveduta, e definitiva. Ottimo esemplare
Questo romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1950, si ripresenta al pubblico italiano, dopo una minuta e paziente correzione da parte dell'Autore, che ha peraltro lasciato fondamentalmente intatto il "ritmo narrativo" dell'opera, sapiente e semplicissimo, capace di suscitare un'aria magica che fa violenza al cuore e alla mente del lettore. Com'è avvenuto per tutte le opere di Carlo Coccioli, Il giuoco ha avuto all'estero una straordinaria fortuna, concretata in una decina di traduzioni (due, per esempio, in lingua francese, a Parigi e a Losanna; due in lingua spagnola, in Argentina e nel Messico; e in tedesco, in svedese, in norvegese, in portoghese, ecc.). Nel 1951, al testo italiano venne attribuito il primo premio Charles Veillon: "romanzo - diceva il verdetto della giuria - che all'originalità della vicenda e alla straordinaria, spietata tensione psicologica creata dall'ambiente e dai personaggi, assomma valide qualità costruttive e stilistiche, in una lingua d'ampio respiro". Nel suo Journal, Coccioli parla dell'origine di questo libro: "Scrissi Il giuoco in due settimane dopo un soggiorno a Urbino con quella che era il mio amore. Fu una specie di favola in cui non accadde assolutamente nulla, e tuttavia la letteratura più fantasiosa racconta ben misere banalità a paragone di quel ch'io vidi accadere durante quei pochi giorni. Un terremoto aveva scosso Sansepolcro, dove il mio amore conosceva il fascino d'una casa vecchiotta....Giunsi a Urbino all'ora del tramonto. La città incoronava due colline, il cielo era reso pallido dal vento. Era un vento carico di polline, un odore pazzo di tigli in fiore, e la città intiera era percorsa da un volo d'angeli. Finii col ritrovare il mio amore, vestito d'angelo, e passai con lei nove giorni. Inimitabili avventure colmarono quel soggiorno di prodigi. Poi partimmo, lei ed io nella stessa autocorriera: lei scese a Sansepolcro, io seguitai fino a Firenze. Non l'ho vista mai più. A Firenze, mi rinchiusi nella mia camera della vecchia casa d'Arcetri. Dalla mia finestra, aperta il giorno e la notte, vedevo gli olivi, i cipressi, una torre all'orizzonte, un'altra torre più vicina, il cupo color della terra. E una campana sonava, e la campagna giaceva sotto il silenzio. Il mio cane abbaiava ogni tanto...Un'ape entrava nella stanza, ne usciva, la mia stanza imbiancata di calce, nuda, splendente di luce e di silenzio. Mi buttavo sul letto e guardavo il soffitto. La voce dei grilli succedeva a quella delle cicale. La mia stanza s'empiva di luna. Scrissi Il giuoco".
Nel suo Journal, Coccioli parla dell'origine di questo libro: "Scrissi Il giuoco in due settimane dopo un soggiorno a Urbino con quella che era il mio amore. Fu una specie di favola in cui non accadde assolutamente nulla, e tuttavia la letteratura più fantasiosa racconta ben misere banalità a paragone di quel ch'io vidi accadere durante quei pochi giorni. Un terremoto aveva scosso Sansepolcro, dove il mio amore conosceva il fascino d'una casa vecchiotta....Giunsi a Urbino all'ora del tramonto. La città incoronava due colline, il cielo era reso pallido dal vento. Era un vento carico di polline, un odore pazzo di tigli in fiore, e la città intiera era percorsa da un volo d'angeli.
Finii col ritrovare il mio amore, vestito d'angelo, e passai con lei nove giorni. Inimitabili avventure colmarono quel soggiorno di prodigi. Poi partimmo, lei ed io nella stessa autocorriera: lei scese a Sansepolcro, io seguitai fino a Firenze. Non l'ho vista mai più. A Firenze, mi rinchiusi nella mia camera della vecchia casa d'Arcetri. Dalla mia finestra, aperta il giorno e la notte, vedevo gli olivi, i cipressi, una torre all'orizzonte, un'altra torre più vicina, il cupo color della terra. E una campana sonava, e la campagna giaceva sotto il silenzio. Il mio cane abbaiava ogni tanto...Un'ape entrava nella stanza, ne usciva, la mia stanza imbiancata di calce, nuda, splendente di luce e di silenzio. Mi buttavo sul letto e guardavo il soffitto. La voce dei grilli succedeva a quella delle cicale. La mia stanza s'empiva di luna. Scrissi Il giuoco".
cfr. carlococcioli.com