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Viaggi di Russia

A cura di William Spaggiari


Parma, Fondazione Pietro Bembo - Guanda, 1991, Biblioteca di scrittori italiani
cm 19.2x11.8, pp. LVII-202-(4), tela, sovracoperta
Unica edizione

€ 28
Già famoso in tutta Europa per il suo Newtonianismo per le dame, brillante miscela di galanteria rococò e di spirito dei lumi, Francesco Algarotti giunse a Pietroburgo nell'estate del 1739. Il veneziano vi accompagnava la delegazione inglese inviata da Giorgio II alle nozze di Anna di Meckiemburg, erede designata della zarina Anna loannovna.

Dal suo giornale di viaggio, in gran parte tuttora inedito, l'intellettuale di mondo, rientrato finalmente in Italia dopo un ventennio vissuto nelle più importanti corti straniere, trasse alcune lettere fittizie al fu Ciambellano del Re, Lord John Hervey di Ickworth, e le divulgò a stampa in tre tempi successivi (1760, '63, '64), fino a raggiungere il numero di dodici (comprese le tre, di argomento geografico-scientifico, indirizzate a un altro illustre defunto, Scipione Maffei). Scomparsi ormai o travolti dalla tragedia della storia gli alti personaggi dei suoi innumerevoli incontri, la scena del mondo gli doveva apparire del tutto mutata, non meno di quanto lo fossero il suo animo, le sue stesse idee. Donde il mutare del registro stilistico, dalla prosa diaristica al saggio, e dei giudizi: da negativi, quali spesso gli erano venuti alla penna nel contatto diretto con l'uno o con l'altro aspetto della società russa o dei suoi ordinamenti civili e militari, a filosoficamente temperati.

Osservazioni autoptiche e informazioni attinte ai libri, soprattutto di autori inglesi, un'acuita curiosità e un'intelligenza eclettica di fronte a un mondo selvaggio ma sempre più affascinante per l'Europa colta e progressista, fanno di questi Viaggi di Russia, brillante reportage nato da un soggiorno di poche settimane spese nella capitale tra cerimonie ufficiali e ricevimenti, uno dei migliori esempi del giornalismo letterario settecentesco. Tenendo presente gli interessi delle grandi capitali d'Europa, specie di Londra, l'autore riferisce, con raffinata misura, su tutti gli aspetti essenziali dell'impero degli Zar, pochi anni dopo la scomparsa del grande riformatore Pietro il Grande: dai costumi alla politica estera, dall'organizzazione militare agli scambi commerciali e all'apertura dei nuovi mercati caucasici. Sicché le sue pagine, che riguardano anche la Prussia e la Polonia, ebbero lettori ammirati negli illuministi lombardi (dai Verri al Frisi) e furono giudicate degne di «occupare il tavolino d'un ministro». Perché l'interesse del referto non andasse però scompagnato dal gusto del divertissement letterario, l'Algarotti evita abilmente il tono e il taglio della relazione di viaggio (un genere da viaggiatori occasionali, già scaduto a moda) e trova nella finzione epistolare l'elegante sprezzatura della conversazione colta: la stessa che, da giovane, gli aveva aperto l'accesso ai circoli più esclusivi di tutta Europa.

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