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Poeti del Duecento

A cura di Gianfranco Contini


Milano - Napoli, Ricciardi, 1960, La letteratura italiana, 2, 2 volumi, cm 23.5x15, pp. XXVI-932-(4), 1002-(2), tela, segnalibro in tessuto, sovracoperte, custodie mutePrima edizione.

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I testi del Duecento raccolti in questi due tomi da Gianfranco Contini illuminano gli albori della nostra poesia. La cosa che più sorprende, anche dopo una semplice scorsa all'indice, è il numero di queste «voci» e la varietà della loro ispirazione: canti sacri e civili, trattatelli didattici ora arguti ora bonari, strofe popolareggianti e giullaresche, liriche di impeccabile, aulica eleganza formale e sonetti di crudo realismo s'avvicendano a mostrare in quante direzioni e in quante forme il genio poetico della nostra gente, appena ridesto, tentasse di esprimersi, di germogliare e di fiorire.


L'ombra sovrana di Dante può, nella prospettiva dei secoli, ridurre molti di questi audaci a poetae minores; e per forza nei programmi scolastici sono un po' sacrificati alla grande triade del Trecento. Ma il loro interesse non è meramente culturale: accenti di vera e limpida poesia risuonano in ogni parte di questa silloge, e non solo nelle pagine dedicate alle grandi anime dolenti di Guido Cavalcanti, di Cino da Pistoia e degli altri maestri del «dolce stil novo», ma nella dura, pungente eloquenza di fra Jacopone, nelle vignette beffarde dei realisti toscani, nel canto asciutto e veemente dei grandi Siciliani.
Perché non sono più lette, più conosciute queste pagine così ricche, così varie, a momenti così alte e a momenti così gustosamente «basse»? Una ragione può essere la difficoltà di leggerle in testi sicuri, criticamente ripuliti dalle incrostazioni di amanuensi e letterati più tardi, e dove occorra commentati quel tanto che serva ad avvicinare ad esse il lettore odierno digiuno di filologiche sottigliezze.
Ora, questi due tomi accolgono i testi più celebri della poesia del Duecento (quelli che si studiano e si mandano a mente fin dal ginnasio) e tanti altri che, invece, appartengono o appartennero agli «specialisti» e non son facilmente reperibili fuori delle biblioteche. Tutti appaiono qui in lezione critica, e per ciò in forma rinnovata: l'acribia testuale, anche per i componimenti meno insigni, non persegue squisitezze, ma la più probabile verità della stessa sostanza verbale. Il lavoro è stato fatto ab ovo o rifatto ex novo per tutta l'opera; e, data la sua mole, ha richiesto la collaborazione di molti specialisti, i cui risultati sono stati collaudati e coordinati dal curatore. Quasi sempre avvantaggiata rispetto alle precedenti, la dove esistevano vere edizioni, la nuova lezione può nell'insieme fungere presumibilmente per qualche tempo da vulgata. La Nota ai Testi informa largamente dei manoscritti adoperati, parecchi per la prima volta, e, mentre consente agevolmente di ricostruire la bibliografia più importante sui singoli argomenti, rappresenta un punto di partenza e forse uno stimolo per altre ricerche sui testi presenti e i loro similari.
Fondamentalmente letterale è anche l'esegesi, e questo si giustifica per la natura stessa del linguaggio delle origini. D'altra parte, l'opportunità di questo deciso intervento della tecnica filologica in una silloge di canti destinata a un largo pubblico, risulta dal fatto che fuori di Toscana (e di ciò che alla Toscana fu annesso, come nel suo insieme la Scuola siciiana) si hanno importanti letterature regionali (nel Nord e nell'Italia «mediana»), le quali adottano ovviamente non i loro vernacoli, ma dialetti «illustri» o koinai, il cui fondamento locale richiede peraltro un'adeguata illustrazione.

Per di più, gli autori di questi testi poetici attingono spontaneamente al linguaggio delle altre letterature volgari, già fiorenti, val quanto dire al francese e al provenzale: bisogna quindi reperire e segnalare con molta cura gli elementi gallicizzanti in essi contenuti, anche perché ciò serve per contrasto a meglio misurare la piena liberazione raggiunta dallo Stil Novo fiorentino persino in quelle forme, come la lirica aulica, che più a lungo eran rimaste legate alia matrice transalpina.

Infine, si sa, ma non forse abbastanza, che l'assetto grafico e prosodico della nostra lingua letteraria è dovuto in larga misura al tardo Quattrocento fiorentino che ha esteso a ritroso le sue sistemazioni stilistiche al periodo delle origini. La presente raccolta procura di rimuovere questo velo anacronistico, ripristinando l'immagine di una cultura linguistica medievale che, se pure in grado meno accentuate che nelle altre grandi lingue di civiltà (francese, inglese, tedesco,  spagnolo), si differenzia notevolmente da quella moderna.

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