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Pini Teseo, Frianoro Raffaele, [Camporesi Piero]
Il libro dei vagabondi. [Lo «Speculum cerretanorum» di Teseo Pini, «Il vagabondo» di Raffaele Frianoro e altri testi di «furfanteria»]
A cura di Pietro camporesi, prefazione di Franco Cardini
Milano, Garzanti, 2003, Saggi
cm 21x14, pp. XXXIV-574, brossura illustrata con alette
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Apparso per la prima volta nel 1973 Il libro dei vagabondi ha segnato una grande, autentica scoperta e la pubblicazione, a termine di una rigorosa ricerca, di un fondamentale inedito: è il frutto, come scrive Franco Cardini nella sua introduzione, di un «terremoto metodologico, euristico e concettuale» che trasformarono Piero Camporesi «in un temibile sovvertitore di schemi storici e letterari, consolidati, in uno spregiudicato battistrada di nuovi sentieri interdisciplinari nei quali filologia, semilogia, lessicografia, stilistica e letteratura si confrontavano e magari si scontravano con storia, antropologia culturale, sociologia, iconologia e perfino psicanalisi».►
La scoperta è quella della vasta letteratura dedicata ai vagabondi, ai mendicanti, ai pitocchi che per secoli sopravvissero in Italia, tra infiniti stenti e astuzie. L’inedito è lo Speculum Cerratonorm, scritto alla fine del Quattrocento da Teseo Pini: una sorta di manuale dei «falsi vagabondi» a cui attinse ampiamente la letteratura dei secoli successivi, dal Vagabondo di Rafaele Frianoro agli altri testi raccolti in questa antologia. Il libro dei vagabondi è popolato da una umanità infinita di diseredati, pezzenti, storpiati, lebbrosi: quei poveri che la Chiesa vedeva come un monito e un inesauribile serbatoio di carità. Ma tra questi miserabili si annidavano anche gli astuti, i simulatori, che irridevano le leggi umane e quelle divine: avevano nomi fantasiosi (gli «affrati» ovvero falsi frati, gli «attremanti» che si fingono paralitici, i «falpatori» «che fan toccare il falso per il vero», e molti altri) e usavano gerghi «furbeschi» che solo loro comprendevano. L’ampia e densa introduzione dà conto di questo universo insospettabile, inquadrandolo in un contesto di lunga durata, dall’antichità all’età della crisi europea.
Nel loro insieme i testi qui raccolti compongono, come scrive lo stesso Piero Camporesi, una «storia eminentemente letteraria, quindi fantastica, fortemente irreale» del pauperismo e della mendicità. Sono pagine che spesso muovono il lettore al riso, o almeno al sorriso: ma non bisogna dimenticare che questo dramma millenario venne «"recitato" su un copione di fame, di stenti, di sangue, da una moltitudine inimmaginabile d’infelici sbattuti dal destino sul palcoscenico di una atroce teatro della crudeltà».