Una notte nella stazione 5 I ragazzi di Arese 45 Locali notturni 61 Le piramidi di Milano 75 La città è venduta 81 Il disoccupato 89 Lo sgombero 99
Le pagine milanesi di Anna Maria Ortese nascono sotto il segno della protesta anticonformista contro le insufficienze e le degenerazioni della moderna civiltà industriale.►
Milano, e non Torino, Firenze o Roma, porge materia all'indagine e sollecita la fantasia della scrittrice, ma le tradizionali virtù ambrosiane e gli stessi difetti dei milanesi non entrano nella considerazione dell'Ortese se non quali punti di riferimento di una ricerca che ambisce penetrare più in fondo e cogliere gli aspetti più conturbanti e contraddittori di una età sociale. Attraverso le pietre alte come montagne, il ferro, il fumo, i comandi monotoni della stazione di Milano, Anna Maria Ortese segue gli uomini e le donne che, come un mare grigio, entrano nella grande città industriale per essere trasformati in cose, in cifre, o esserne esclusi: senza parole, con un senso di vergogna di fronte al pensiero, al colloquio, come di un furto alla comunità. I grandi idoli usciti dal cervello dell'uomo hanno riempito gli orizzonti; si costruisce febbrilmente, si elevano cattedrali ai nuovi dei: sotto il volto cordiale e benigno della capitale del lavoro italiano la scrittrice avverte il limite di una società irrisolta, la costrizione di tenaci speranze. L'Ortese penetra nel silenzio della città e dei suoi abitanti, ne svela la grandezza e le tenebre, i miti, la solitudine, la pulita e disperata atmosfera. L'«orribile cosa» di piazza Duca d'Aosta, il riformatorio di Arese, la pietra priva di gioia delle nuove case operaie, il «grattacielo dei poveri » diventano così altrettanti simboli di una distorta condizione della creatura umana. Al cui isolamento e smarrimento la città affaristica e ascetica, industriale e medievale non sembra saper offrire altro che il soccorso squallido di una pubblica carità amministrata coi modi di un'Italia invecchiata, sorda e provinciale, o un'astratta raccomandazione di solidarietà cui la legge del silenzio conferisce un sottile sapore di corruzione, come di invito a una complice pigrizia.
Attraverso le pietre alte come montagne, il ferro, il fumo, i comandi monotoni della stazione di Milano, Anna Maria Ortese segue gli uomini e le donne che, come un mare grigio, entrano nella grande città industriale per essere trasformati in cose, in cifre, o esserne esclusi: senza parole, con un senso di vergogna di fronte al pensiero, al colloquio, come di un furto alla comunità. I grandi idoli usciti dal cervello dell'uomo hanno riempito gli orizzonti; si costruisce febbrilmente, si elevano cattedrali ai nuovi dei: sotto il volto cordiale e benigno della capitale del lavoro italiano la scrittrice avverte il limite di una società irrisolta, la costrizione di tenaci speranze.
L'Ortese penetra nel silenzio della città e dei suoi abitanti, ne svela la grandezza e le tenebre, i miti, la solitudine, la pulita e disperata atmosfera. L'«orribile cosa» di piazza Duca d'Aosta, il riformatorio di Arese, la pietra priva di gioia delle nuove case operaie, il «grattacielo dei poveri » diventano così altrettanti simboli di una distorta condizione della creatura umana. Al cui isolamento e smarrimento la città affaristica e ascetica, industriale e medievale non sembra saper offrire altro che il soccorso squallido di una pubblica carità amministrata coi modi di un'Italia invecchiata, sorda e provinciale, o un'astratta raccomandazione di solidarietà cui la legge del silenzio conferisce un sottile sapore di corruzione, come di invito a una complice pigrizia.