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Gli uomini illustri. Vita di Giulio Cesare

A cura di Ugo Dotti


Torino, Einaudi, 2007, I millenni
cm 22x14, pp. XII-787-(1), 9 tavole a colori a doppia pagina, riproducono le nove tavole dei Trionfi di Cesare del Mantegna, tela, sovracoperta e cofanetto illustrati
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INDICE

Premessa di Ugo Dotti, p. VII
Nota al testo, VIII
Elenco delle abbreviazioni, IX
Nota alle illustrazioni, XI

GLI UOMINI ILLUSTRI
VITA DI GIULIO CESARE

Parte prima: Gli uomini illustri, 3
Introduzione, di Ugo Dotti, 5
Serie biblica, 37
Serie romana, 87
Publio Cornelio Scipione l'Africano Maggiore, 127
Appendice: Confronto tra Scipione, Alessandro, Annibale e Pirro, 345

Parte seconda:Vita di Giulio Cesare
Introduzione: Petrarca e il nuovo senso della storia, di Ugo Dotti, 365
Vita di Giulio Cesare, 391

Note, 631
Indici, 749

NOTA AL TESTO
La traduzione del De viris illustribus è stata condotta sui testi stabiliti da P. de Nolhac per le vite da Adamo a Ercole, in Le «De viris illustribus» de Pétrarque, Paris 1890 integrati, per le vite di Giacobbe e Giuseppe, dall'edizione datane da G. Martelotti in Studi petrarcheschi, Padova 1983. Per le vite da Romolo a Catone il Censore (vita di Scipione compresa) ci siamo serviti del testo criticamente curato dallo stesso Martellotti per l'Edizione Nazionale delle Opere di F. Petrarca, Firenze 1964.
Per la Collatio abbiamo seguito il testo fornito da Martellotti e pubblicato ancora nei suoi Scritti petrarcheschi, pp. 333-46 mentre, per il De gestis Cesaris, ci siamo serviti della recente edizione critica pubblicata dalla Scuola Normale Superiore di Pisa nel 2003 per la cura di Giuliana Crevatin. Naturalmente andiamo debitori sia a Guido Martellotti sia a Giuliana Crevatin di molte delle preziose indicazioni da loro apposte in nota.


NOTA ALLE ILLUSTRAZIONI
A Mantova, nel 1501, durante la festa del Carnevale, uno spettatore ammirato, Sigismondo Canteimo, vede sei tele dei Trionfi di Cesare esposte per una rappresentazione teatrale; insieme a esse può ammirare «li triumphi del Petrarcha, ancor loro penti per man del p.o Mantegna».
Dipinte a partire dal 1486 e ora, dopo svariate vicissitudini, conservate a Londra, Hampton Court, le tele del Mantegna ammontano in realtà a nove; della decima, forse mai dipinta, ci rimane solo un disegno preparatorio conservato all'Albertina a Vienna. Erano opere di cui sia Francesco Gonzaga, committente della serie, sia il pittore stesso andavano particolarmente fieri, come si legge in una lettera scritta da Roma nel gennaio 1489 da Mantegna a Francesco Gonzaga: «che non si guastino perche in verità non me ne vergogno di averii fatti et anco ho speranza di farne degli altri...»I Trionfi di Cesare sembrano un perfetto contraltare al De gestis Cesaris di Francesco Petrarca: a ridosso di un'antichità studiata a tavolino, poi immaginata e infine rappresentata in parole e immagini, le tele del Mantegna forniscono un palcoscenico ideale ed evocativo per quello che, di fatto, come ha scritto Giovanni Agosti, è un grande «film epico» la cui regia era affidata ad Andrea Mantegna.
Vengono qui presentati, in un unico volume, i due maggiori libri del Petrarca storico: il De viris illustribus e il De gestis Cesaris, il primo iniziato quando Petrarca era sui trentatre anni, il secondo composto nella tarda maturità del poeta (s'è anche parlato della sua ultima opera). Il De viris non ebbe tuttavia uno redazione compiuta e nell'Introduzione abbiamo dato, sulla scorta delle informazioni del suo maggiore studioso, Guido Martellotti, i dati essenziali del suo iter compositivo. Questo suo essere rimasto a uno stato per così dire frammentario ci ha autorizzato (e sempre nell'Introduzione ne abbiamo spiegato le ragioni) a presentarlo come diviso in tre sezioni: I. Serie biblica; II. Serie romana; III. Terza redazione della vita di Publio Cornelio Scipione l'Africano Maggiore.
La seconda parte del libro è completamente dedicata al
De gestis Cesaris che tuttavia, pur essendo uno biografia di un uomo più che illustre, venne scritto da Petrarca come indipendente dalla silloge del De viris.
In Appendice alla prima parte abbiamo posto quel frammento vagante del
De viris che non ha avuto da Petrarca uno precisa collocazione e che va sotto il titolo di Collatio inter Scipionem Alexandrum Hanibalem et Pyrrum (Confronto tra Scipione Alessandro Annibale e Pirro), edita in edizione critica da Guido Martellotti, la prima volta in «Classical Mediaeval and Renaissance Studies in Honor of B.L. Ullman», Roma 1664, vol. II, pp. 145-68 e, quindi, in Martellotti 1964, pp. 321-46.

Il De viris illustribus e il De gestis Cesaris di Petrarca costituiscono un dittico che, letto in continuità come si propone in questo volume, forma una vera e propria «Storia di Roma» da Romolo alla morte di Giulio Cesare. E la storia di Roma, con Petrarca, diventa per la prima volta e organicamente un modello culturale, etico e politico, pronto per essere trasformato in mito, in culto e in quant'altro come avverrà in varie epoche successive, a volte in chiave rivoluzionaria, a volte in chiave reazionaria.
Insieme al Canzoniere, all'Africa, alle Epistole familiari e alle Senili, Gli uomini illustri sono l'opera a cui Petrarca ha lavorato per maggior tempo durante la sua vita (dagli anni Trenta fino alla morte, nel 1374), e vi ha utilizzato il suo miglior latino, segno di un impegno consapevole della posta in palio. Si trattava di forzare i modelli della storia universale di tradizione medievale facendone una cosa diversa. E infatti, dopo il lungo lavoro di messa a punto, le biografie relative alla storia romana risultano ventidue su trentacinque. Se poi guardiamo le estensioni testuali, la parte biblica e relativa alla mitologia greca non supera il venticinque per cento. Dunque la storia universale si trasforma, quasi naturalmente e senza proclami, in storia di Roma.
A sua volta, la biografia di Scipione prende una dimensione che la rende praticamente autonoma dalle altre e prelude, semmai, al De gestis Cesaris, che viene scritto negli ultimi anni, dopo il 1366, e che dimostra anche i mutamenti delle convinzioni politiche di Petrarca nella dialettica tra repubblica e monarchia.
C'è Roma al centro degli interessi storiografici di Petrarca, ma c'è anche un metodo nuovo e antico allo stesso tempo: lo studio e l'esame delle fonti, la loro discussione, la loro accettazione o il loro rifiuto. E poi c'è una «filosofia della storia» che rivoluziona la tradizione cristiano-agostiniana: allontanandosi da una visione finalistica in cui gli avvenimenti umani sono inseriti in un disegno di progresso spirituale, la visione petrarchesca è viceversa molto umana, molto pessimistica e nostalgica. L'umanità, secondo Petrarca, è profondamente decaduta e se vorrà uscire dalla crisi dovrà guardare al modello romano di convivenza civile e di valori morali. Un messaggio appassionato che percorre ogni pagina di queste due opere e che apre le porte di un'epoca nuova.

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