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Diario d'esilio 1935

[Trotskyʼs Diary in Exile, 1935], traduzione di Bruno Maffi


Milano, Il Saggiatore, 1960, La cultura. Storia, Critica, Testi, 8
cm 22x16, pp. 191-(1), cartonato, sovracoperta
Prima edizione italiana

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L'anno 1935 segnò forse, nel tormentato calvario di Trozkij in esilio, la tappa più angosciosa; certo, dal punto di vista umano la più dolente. Era l'anno in cui l'ultrademocratico governo della IV Repubblica francese, dopo di averlo ospitato a malincuore, erigeva intorno a lui e alla sua Natascia un triplice cordon sanitaire dovunque il terror panico delle forze dell'ordine o la bieca caccia all'uomo degli avversari politici li costringessero a piantare (solo per breve ora) una fragile tenda, e infine, con un sospiro di sollievo, lo metteva alla porta - i battenti dell'ultrademocratica Norvegia si apriranno per riceverlo e, subito dopo, scacciarlo; l'anno che maturava in Europa la grande crisi ginevrina, e a Mosca nel cupo silenzio che precede la tempesta, la liquidazione finale della vecchia guardia.

Uno spirito indomito in lotta, con una fibra già di acciaio, ma che gli anni eroici delle due rivoluzioni russe, della guerra civile, di una tensione sovrumana nel ciclopico sforzo della battaglia rivoluzionaria su tutti i fronti, al vertice del potere, nella III Internazionale e nel partito, avevano irrimediabilmente logorato, e con un mondo che di quegli anni eroici temeva il fiammeggiante ritorno; un uomo solo, l'appestato fra i «sani» di un'Europa in bilico sul precipizio di un nuovo macello, mentre in una lontana prigione, reo di essere nato da lui e di non provarne vergogna, gli muore il figlio, non il primo né l'ultimo, e solo la fede incorrotta nel «futuro comunista» già vissuto e sofferto e la dedizione amorosa di Natascia gli ricordano, ogni giorno e ogni ora, che «la vita è bella» - questo il protagonista del Diario in esilio. le pagine sparse di chi era stato avvezzo a scrivere nel libro della storia con ben altro inchiostro, e con la penna ben altrimenti affilata.

Lacrime e sangue; ma, dalla finestra aperta, pochi mesi prima di morire, Trozkij vedrà «il tenero verde dell'erba sotto il muro, e il limpido cielo azzurro sopra, e sole dovunque», e dirà: «se dovessi ricominciare tutto daccapo, cercherei naturalmente di evitare questo o quell'errore, ma il corso fondantentale della mia vita resterebbe lo stesso». È il suo testamento.

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