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Storia del mondo romano. 1. Dalla fondazione di Roma alla distruzione di Cartagine. 2. Dalle riforme dei Gracchi alla morte di Nerone

[History of the Roman World 753-146 BC], traduzione di Rita Lizzi, Massimo Bruno; [From the Gracchi to Nero. History of the Roma 133 BC to AD 68], traduzione di Pierangela Diadori, Eva Pollini. Edizione italiana a cura di Emanuele Narducci


Milano, Rizzoli, 1983, Collana storica
2 volumi, cm 23x15.5, pp. XX-521-(3), 509-(3), cartonato, sovracoperte illustrate, cofanetto illustrato
Unica edizione. Ex libris nei risguardi. Ottimo esemplare

€ 70
Nel primo volume sono esposte le vicende che vanno dalla preistoria dell’Italia, e dalle origini di Roma, fino alla caduta di Cartagine, l’ultimo ostacolo al completo dominio del Mediterraneo.

Sono secoli densi di avvenimenti importantissimi, sul piano sia della politica interna sia della politica estera; Roma si libera dal dominio regale degli Etruschi ed elabora la costituzione repubblicana; le lotte fra patrizi e plebei portano alla fine all’unificazione dei due ordini e alla formazione di una nuova classe dirigente: dapprima un’aristocrazia di medi proprietari terrieri, salda nei suoi principi, che porta avanti con fermezza l’ampliamento dello stato; in seguito una classe di governo sensibile al fascino delle ricchezze che affluiscono dai paesi conquistati, e che si rivolge sempre più a una politica di sfruttamento, anche per garantire sbocchi economici a una popolazione progressivamente impoverita dalle lunghissime guerre. Si fa allora nodale il problema dell’imperialismo romano, sul quale ancora non è stata detta una parola definitiva: alcuni (Scullard è fra questi) vedono nell’epoca che precede la distruzione di Cartagine soprattutto lo sviluppo di un imperialismo ’’difensivo”; altri propendono per un suo carattere più francamente aggressivo. L’opera di Scullard costituisce anche un’introduzione e una guida sicura al complesso dibattito storiografico, nel quale entrano in ballo fattori ed orientamenti che non sono esclusivamente ’’accademici”.
La seconda parte del volume fornisce un affresco vasto ed esauriente della vita economica, sociale, culturale e religiosa di Roma nel periodo preso in esame: lo sviluppo di un ceto ’’affaristico” in seguito alla politica di conquiste, l’arricchimento di pochi e l’impoverimento di larghe masse, che talora cercano in culti ’’entusiastici” provenienti dalle regioni orientali uno sbocco alle proprie insoddisfazioni; la fioritura delle arti figurative, che attraverso un’originale rielaborazione dei modelli greci traducono spesso in immagini di chiara lettura l’ideologia del ceto dirigente; la creazione della giurisprudenza e la nascita di una grande letteratura nazionale, due fra i maggiori lasciti di Roma alla civiltà occidentale.


Il secondo volume della Storia del mondo romano di H.H. Scullard si apre con la narrazione dei lunghi decenni dell’agonia dello stato repubblicano, lacerato da tensioni insanabili: il generoso ma fallimentare tentativo dei Gracchi di ridare vita al ceto dei piccoli agricoltori e il miope egoismo della classe dirigente che lo fa naufragare; il predominio di Mario, poi di Siila, e il conflitto fra optimates e populares, molto meno ’’partiti” nel senso moderno che cricche o fazioni le quali, in vista del predominio dei propri leaders, strumentalizzano le aspirazioni dei diversi gruppi sociali.

I ceti agricoli proletarizzati vanno intanto a ingrossare le fila di eserciti che tendono sempre più alla professionalizzazione, e che costituiranno una delle basi più importanti del predominio dei vari potentati, come quello di Pompeo o di Cesare. La guerra civile si fa inevitabile. La voce di Cicerone che, sia pure con molto utopismo, caldeggiava una soluzione diversa, quella del ’’blocco sociale” fra i ceti possidenti, rimarrà apparentemente inascoltata; ma, sebbene su basi diverse e senza fare a meno dell’indispensabile appoggio degli eserciti, sia Cesare, sia il suo più accorto erede, Augusto, si sforzeranno di cementare un blocco analogo, con maggiore successo. La rinuncia all’antica libertà politica sarà il prezzo pagato dalla società in cambio di una pace duratura.
La narrazione prosegue, attraverso i principati successivi a quello di Augusto, fino al termine del regno di Nerone; con esso si conclude il ciclo della prima dinastia imperiale, quella giulio-claudia, e si apre un nuovo sanguinoso periodo di guerre civili, in cui gli eserciti tornano a dettare legge. Ne emergerà vittorioso Vespasiano, il fondatore della dinastia flavia, che garantirà a Roma un nuovo periodo di pace, ma anche stavolta a costo di un accrescimento dell’assolutismo e di una restrizione di quella libertas che aveva costituito la secolare prerogativa del ceto senatorio.
Anche in questo volume largo spazio è dedicato alla vita materiale, alle istituzioni, alla letteratura e alle arti; il quadro non è limitato all’Italia, ma si amplia fino a prendere in esame le province, che, attraverso la romanizzazione, si affacciano alla civiltà e cominciano a fornire il loro duraturo contributo all’edificazione della cultura europea. Quest’ultima troverà, nella sfera letteraria, i suoi modelli ’’classici” in Orazio e in Virgilio; ma già in questi due autori, solo apparentemente ’’sereni”, si avvertono segni di inquietudine, dubbi più o meno velati sul senso della ’’missione” di Roma o sulla scelta dei valori morali. La crisi della cultura si farà evidente in età neroniana: il poema di Lucano denuncia le origini del principato da un’ingiusta vittoria nelle guerre civili; la riflessione etica di Seneca, per quanto lacerata da conflitti insanabili, si sforza di aprire al saggio nuovi orizzonti interiori; il romanzo di Petronio si spalanca a una rappresentazione ’’picaresca” della vita dei bassifondi; in tutti questi autori, lo stile si sottrae alla ’’misura” classica, e tenta nuovi esperimenti, talora sulla via del bizzarro o del paradossale. ’’Classicismo” e ’’manierismo” delle epoche successive hanno le loro radici in tendenze della cultura romana.

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